Cimitero

-Buonasera, o buongiorno, e come sempre grazie di averci aperto la vostra mente. Io sono Kel Drusan, questo è Moon Talk, e nel programma di oggi parleremo di un tema che si sta facendo sempre più caldo, dentro e fuori il parlamento, e che sembra destinato a diventare argomento di discussione piuttosto accesa da qui alle prossime settimane. Parliamo ovviamente dei cosiddetti “cimiteri virtuali”, sicuramente in questi giorni vi sarà capitato di sentirne parlare. Chiuderli, non chiuderli, affidarli a privati, le opinioni sono molte e molto variegate. A discutere su questo tema spinoso ci sono con me Agar Smith, che ha redatto la mozione parlamentare che vorrebbe staccare la spina statale, per dire così, ai cimiteri virtuali, e Berghel Weber, che dirige il Centro per la Memoria Virtuale nella nostra capitale. Visto che la discussione è sorta in primo luogo dalle iniziative parlamentari come quella di Smith, partirei da qui.

-Grazie Kel. Per me e per il mio partito la questione è estremamente semplice. In questi giorni ho sentito molte parole a sproposito che parlano di scarso rispetto per la nostra storia, per i defunti, e altre simili sciocchezze. Qui nessuno vuole mancare di rispetto a niente. Si vuole però portare alla luce un fatto oggettivo: l’accesso ai cimiteri virtuali è sempre più basso, cala di anno in anno, e in alcuni casi è praticamente pari a zero. Questo però non cambia i costi per lo stato, che quasi un secolo fa prese la decisione a quel tempo logica di nazionalizzare i cimiteri, seguendo un desiderio palese e palpabile della popolazione, ma che ora si trova nella difficoltà di sostenere costi esorbitanti per mantenere accessibili luoghi che semplicemente non interessano più. Ed è inutile che io vi dica che tutto questo costo ricade esclusivamente sulle spalle di chi paga le tasse.

-Grazie Smith, mi permetto di fare un piccolo inciso prima di lasciare la parola a Weber. Ricordiamo che qui si è fatto riferimento alla famosa legge Zurkal, in base alla quale, nel 2058, alcuni cimiteri virtuali, che naturalmente all’epoca non si chiamavano così e di fatto cimiteri non lo erano ancora, vennero nazionalizzati per permetterne la pura e semplice sopravvivenza. Oggi possono diventare cimiteri solo social network sui quali nessuno posta niente da 5 anni, e naturalmente il più famoso e più antico cimitero virtuale è Facebook, cioè il social network puramente testuale e audiovisivo che usavano i nostri nonni o bisnonni. Ma lascio la parola a Weber.

-Hai detto bene Kel: nonni e bisnonni, e in qualche caso trisavoli. Quello di cui noi stiamo parlando qui ora è la nostra memoria storica. In nessun punto della storia umana le persone hanno avuto un uguale accesso alla vita, alle opere, alla quotidianità dei loro antenati più prossimi. Quelle stesse persone che per prime usarono i social network, conservavano una memoria per lo più personale dei loro nonni e bisnonni, ma i documenti erano relativamente pochissimi. E solo chi aveva trisavoli appartenenti alla nobiltà poteva sperare di conoscerne il volto attraverso fotografie o dipinti. Noi oggi abbiamo invece la possibilità di entrare in un contatto molto più diretto con queste nostre radici, di sentire fisicamente la voce di chi ci ha preceduto, e onestamente non capisco nemmeno come si possa considerare la possibilità di cancellarle con un colpo di spugna. Stiamo parlando, tanto per capirci, di centomila miliardi fra fotografie e video, e il numero di post testuali è semplicemente incalcolabile. Secondo me sbagliamo anche a chiamarli cimiteri: per quanto naturalmente queste piattaforme siano popolate da persone ormai scomparse, esse hanno lasciato dietro di sé la loro intera vita perché noi la si possa consultare. Parlerei piuttosto di “musei”.

-Smith?

-A me pare che si dimentichino due punti fondamentali. Il primo lo cita proprio Weber: più di centomila miliardi di fotografie e video. Il costo complessivo di stoccaggio di questo materiale, che si poggia su tecnologie ormai largamente obsolete, sta diventando semplicemente proibitivo, e aumenta di anno in anno. Aggiungo inoltre che, per quanto certamente si possa parlare di memoria storica, vorrei che Weber avesse l’onestà intellettuale di ammettere che l’interesse della popolazione per i cimiteri virtuali è bassissimo, e si abbassa continuamente, ci sono statistiche precise che lo dimostrano. L’ultimo profilo aperto su Facebook risale a 120 anni fa, e oggi a entrarci sono pochissime persone. Stiamo insomma parlando di gravare lo stato con costi sempre maggiori, per un servizio che interessa sempre meno.

-Scusami Kel, permettimi di ribattere. Non vorrei suonare intransigente, ma l’interesse percentuale della maggioranza della popolazione nei confronti di questo tema dovrebbe essere irrilevante o quasi. Quello che abbiamo di fronte, e che si vuole eliminare, è un materiale storiografico preziosissimo, che è tutt’oggi la base della formazione di milioni di studenti. Un materiale che, se venisse perduto, equivarrebbe letteralmente a una nostra perdita di memoria. Chi viveva a quei tempi vedeva nella società dell’informazione una garanzia di eterno presente, sperava che la tecnologia cristallizzasse il passato senza limiti. Oggi però, un secolo e mezzo dopo, noi sappiamo benissimo che non è così: primo perché abbiamo già perso milioni di supporti fisici, hard disk, schede di memoria, tutto ormai irrecuperabile, e secondo perché proprio quella quantità di informazioni rappresenta l’esatto equivalente della povertà precedente: abbiamo così tanto materiale, e sempre ne aggiungiamo, che finiamo col dimenticarcene o non sapere più cosa cercare. Così oggi mio figlio, per esempio, si stupisce nel venire a sapere che nel 2015, o nel 2025, nessuno aveva tecnologia impiantata sottopelle, le comunicazioni avvenivano tramite device fisici su cui era necessario inserire input usando le dita, e via dicendo. E non lo sa malgrado quella conoscenza esista e sia stata tramandata.

-Perdonami però Weber, questo non va forse nella direzione di Smith? Non siamo di fronte a una mole di informazioni sostanzialmente inutile e ormai poco considerata?

-No, queste considerazioni vanno nella direzione contraria: tralasciando il fatto che chi lavora con la storia opera su quegli archivi per aiutarci a non perdere gli elementi più importanti del passato, che senza la legge Zurkal sarebbero evaporati un secolo fa, il tema dovrebbe essere proprio il recupero della capacità di esplorare quel materiale, convincendo le nuove generazioni della sua rilevanza. La dico in un altro modo: io non vado più molto spesso a controllare il profilo Facebook della mia bisnonna, che non è nemmeno così pieno come molti altri casi. Ma sono felice di averlo fatto in passato, sono felice di poterlo ancora fare qualora lo volessi, e vorrei che mio figlio capisse l’importanza dell’esistenza di quel luogo.

-Smith, bisogna ammettere, lo dico da persona anziana ma credo che ci sarebbe anche molta gioventù d’accordo con me, che su questo punto Weber solleva una riflessione non banale: esistono effettivamente porzioni di questi cimiteri che ognuno di noi vorrebbe conservare…

-Non ho difficoltà ad ammettere questa cosa. Credo però che si possano trovare dei punti di incontro. Per esempio abbiamo anche proposto che ogni individuo abbia facoltà di salvare in locale, sui propri cloud identitari, le porzioni di cimitero virtuale che riguardano la sua propria storia, o comunque tutte quelle che la sua capacità di stoccaggio consente.

-Weber?

-Sarebbe certamente qualcosa, ma si dimentica che la diversità, la varietà, e in definitiva ciò che può dare senso a un’esplorazione di questo tipo, sta anche nella possibilità di esplorare fuori dal proprio albero genealogico. Se posso guardare ciò che ha scritto la mia bisnonna, ma non posso seguire i tag e i link che lei ha lasciato, mancherà sempre un pezzo del puzzle. Lasciare poi che sia la capacità di stoccaggio del singolo individuo a determinare quanto passato è possibile salvare, non farebbe altro che favorire i ricchi, e questo Smith lo sa benissimo.

-Però voi non volete nemmeno affidare gli archivi ai privati!

-Smith, sai benissimo che fare affidamento sui privati non è la soluzione, perché farebbero pagare molto per l’accesso ai cimiteri, al solo scopo di rientrare dall’investimento, con due conseguenze ugualmente indesiderabili: o le persone finirebbero col pagare moltissimi soldi che ora non pagano, oppure rinuncerebbero in toto all’esplorazione, condannandosi all’ignoranza e costringendo i detentori dei diritti sul cimitero a chiudere tutto e cancellare gli archivi. Affidarsi ai privati serve solo a voi per lavarvi le mani della questione, senza prendervi la colpa della cancellazione.

-Questa è un’accusa piuttosto precisa, Smith come rispondi?

-Non mi interessa difendermi da insinuazioni che reputo pura propaganda, e vorrei anche che non si tacciasse di ignoranza chi non ha interesse a sapere cosa mangiava il proprio bisnonno. Io vorrei solo che Weber mi dicesse se esiste un limite: l’accumulo non fa altro che aumentare, perché ovviamente se consideriamo intoccabili le informazioni di inizio Ventunesimo secolo, non si capisce perché non dovrebbero essere considerati ugualmente intoccabili i materiali contenuti nelle neuropiattaforme di oggi. Questo aumento corre parallelo a un aumento dei costi, e quindi vorrei sapere se esiste un confine oltre il quale sarà possibile fermarsi. Forse quando l’intero budget statale, invece che essere impegnato su trasporti, comunicazioni, istruzione e sanità, sarà impegnato nella preservazione di profili social vecchi di cento anni, pieni delle stesse foto di gatti, spiagge, bicchieri e quella cosa che facevano sempre, Kel aiutami, come si chiamava?

-Cosa?

-Quelle riproduzioni del viso, quando ancora non potevano condividere gli emosplash via brain-link.

-Credo si chiamassero “selfie”.

-Giusto, selfie! Ecco, qual è la quota massima del budget statale che possiamo spendere per conservare miliardi e miliardi di selfie tutti uguali?

-Anche questa è una bella argomentazione, Weber?

-Scusa Kel, permettimi di rispondere che questo ipotetico sfascio delle finanze statali è molto più lontano di quanto la voce spaventata di Smith faccia pensare. Ma poi già ora, già mentre parliamo, numerose università e ricerche indipendenti sono al lavoro per trovare nuove forme di preservazione e trasferimento di quei materiali su piattaforme che siano maggiormente compatibili con le nostre attuali tecnologie comunicative, a un costo minore.

-Dai Weber, questa cosa è stata detta anche in parlamento, solo che sono dieci anni che lo ripetete, e non mi sembra che stia arrivando alcuna rivoluzione.

-Un momento, un momento, per cortesia. Come detto, la discussione diventerà molto accesa nelle prossime settimane, ma come sapete non amo che gli animi si scaldino troppo qui nel mio salotto. Che ricordiamo essere offerto da Outer Voyage, viaggi spaziali per tutte le tasche e tutte le età. E guardate che bella che è anche oggi la nostra buona e vecchia Terra lassù in cielo. Abbiamo tempo per un’ultima battuta a testa. Smith?

-La mia è una semplice domanda, rivolta a chi ci ascolta: per quanto ancora volete pagare per qualcosa che sostanzialmente non usate? A voi la scelta.

-Weber?

-Io trovo difficile immaginare che possa essere radioso un futuro che sceglie di cancellare il passato, ma invito a fare una riflessione più personale: chiedetevi se volete o no lasciare una traccia che un domani qualcuno possa riscoprire per imparare qualcosa.

-Bene, il nostro tempo è davvero concluso, ringrazio Agar Smith e Berghel Weber per la compagnia e le interessanti riflessioni su un tema che chissà, potrebbe anche diventare oggetto di referendum, come già si comincia a vociferare nei salotti che contano. In questo salotto, invece, che spero conti qualcosa almeno per voi, ci risentiamo domani, o più tardi, a seconda del vostro quadrante. E come sempre vi ricordo che, a volte, le cose è meglio guardarle da lontano.
Alla prossima!

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