Carta Igienica

E a un certo punto, senza particolare preavviso, la carta igienica finì.
In altri momenti della storia c’erano stati periodi di scarsità momentanea, legati ad acquisti compulsivi causati da questa o quella emergenza, ma quando effettivamente la carta igienica si esaurì completamente, nessuno si trovò davvero preparato a questa eventualità.
Inizialmente le varie testate giornalistiche trattarono l’evento come un buffo contrattempo, occorso in poche piccole città, e ne cercarono i motivi in qualche errore nella distribuzione.
Bastarono pochi giorni, però, per rendersi conto che il problema non riguardava il singolo supermercato o città, ma intere nazioni e, poi, il mondo intero.

Quando la carta igienica divenne introvabile, prima le associazioni dei consumatori e poi i governi stessi cercarono di indagare le cause del fenomeno. Come poteva essere un problema distributivo, se tutte le altre merci venivano consegnare con la solita puntualità? Né si poteva pensare che tutti, ma proprio tutti i macchinari deputati alla produzione di carta igienica, si fossero in qualche modo guastati contemporaneamente.
La spiegazione che ne diedero le aziende produttrici che per prime vennero contattate dai media, lasciò spiazzati praticamente tutti coloro che si stavano occupando del caso: «Non siamo più capaci di produrla», dissero all’unisono con sorprendente candore, lasciando spiazzata buona parte del pubblico.
In pochi mesi ci si rese conto che no, i macchinari per la produzione non si erano guastati, né si registravano improvvisi problemi nell’approvvigionamento di legname. A essere andata persa, però, era la conoscenza stessa del processo.
Chi lavorava nelle aziende del settore, non diversamente da chi le possedeva, aveva perso ogni nozione circa la fabbricazione della carta igienica. Sapeva riconoscere un macchinario funzionante, e sapeva che effettivamente il legno serviva, ma non aveva alcuna idea di come mettere insieme le due cose.
Qualunque istruzione era svanita, dalla mente delle persone come dai supporti tecnologici solitamente utilizzati allo scopo.
Molto semplicemente, l’umanità non sapeva più come si facesse a passare da un albero ad alto fusto a un piccolo rotolo di materiale morbido e bianco.

Nei primi tempi, la sorpresa e poi l’indignazione per questa perdita di conoscenza (di “know how”, come dicevano gli appassionati di inglesismi) furono al centro di ogni indagine, riflessione, interrogazione parlamentare. C’era qualcosa di inquietante, di biblico, in questa dimenticanza collettiva. Tutti desideravano un prodotto, tutti sapevano che era fondamentale, ma nessuno sapeva come produrlo.
Si pensò a un attacco hacker, che però difficilmente avrebbe potuto modificare i ricordi delle persone, e naturalmente si parlò di alieni e satanismi. Qualcuno, cercando di guardare alla CCI (Crisi della Carta Igienica) da un punto di vista più esterno e meno emotivamente coinvolto, affermò di vederci un simbolo della crisi della civiltà occidentale, costruitasi in secoli di progresso tecnologico e di capitalismo sfrenato, fino al punto di cominciare a perdere improvvisi e insospettabili pezzi.
Ma siccome la realtà concreta vince sempre sulle speculazioni filosofiche, il problema di come fosse possibile che nessuno sapesse più come produrre carta igienica venne presto soppiantato da un’altra questione, molto più impellente: cosa fare adesso?

Ci vollero mesi, naturalmente: molti in casa avevano robuste scorte, che spesso vendevano a caro prezzo sia su internet che dal vivo. Come era prevedibile, non mancarono episodi di spiacevole tensione e perfino violenza, per esempio quando le richieste di quattro o cinquecento euro per una sola confezione di carta igienica (nonostante si trattasse di pacchi da ventiquattro rotoli) scatenò l’ira dei potenziali clienti, che non vedevano se stessi come imprudenti scialacquatori di carta, ma come vittime innocenti di una frode immorale.
A un certo punto, comunque, di carta igienica non ce ne fu più. Naturalmente si dava per scontato che in alcune case e casseforti esistessero ancora dei rotoli, nascosti e conservati come feticci archeologici, ma quelli non contavano. Nel momento in cui un oggetto definito dal suo valore d’uso viene scisso da quello specifico utilizzo, diventa qualcos’altro, perfino arte, come ci insegnano certi barattoli di fagioli del passato.

Le reazioni, come era lecito aspettarsi, furono le più diverse.
Molte persone furono costrette a chiedersi se la carta igienica fosse sempre esistita e, in caso contrario, come avesse fatto l’umanità prima della sua introduzione.
Molti scoprirono proprio allora che la carta igienica era un’invenzione relativamente recente, risalente al XIV secolo ma realmente diffusa in Occidente non prima della metà dell’Ottocento.
Andando a esplorare il passato per trovare delle alternative, furono in molti a convertirsi al tessuto lavabile, che inizialmente poteva dare qualche fastidio e non essere particolarmente apprezzato proprio per la sua natura di oggetto da ri-trattare dopo quell’uso non propriamente gradevole, ma che alla fine si impose come l’alternativa più ragionevole.
Sui social e sui siti dedicati alla condivisione di video ci fu molto dibattito circa il tipo migliore di tessuto da utilizzare, e oggi sappiamo che più del 65% della popolazione adulta usa lo stesso tipo di cotone solitamente utilizzato per le lenzuola, la cui delicatezza si è evidentemente rivelata utile ben oltre la garanzia di un piacevole riposo.
Nel corso delle settimane e dei mesi spuntarono un po’ ovunque annunci pubblicitari con cui le lavanderie annunciavano in pompa magna l’inizio di programmi di ritiro a domicilio delle pezze di tessuto, un business in rapida espansione che trovò il suo simbolo in certe vignette (oggi conosciutissime) che mostravano sacchetti pieni di sgradevole mercanzia, allungati con mano imbarazzata verso solerti paladini dell’igiene domestica.
Non mancarono momenti di curioso esibizionismo, come quello di certi rapper statunitensi che, alla costante ricerca di nuovi modi per dare sfoggio della loro abbienza, si affannarono per mostrare nelle loro stories sui social l’utilizzo di banconote come alternativa alla carta igienica (con il non trascurabile problema della dimensione ridotta dei biglietti da un dollaro, che quindi suggerivano l’utilizzo dei ben più costosi pezzi da venti e da mille, da cui la storpiatura del famoso slogan inizialmente dedicato ai prodotti per capelli: “perché io valgo”).
Fra i più contenti, naturalmente, i membri delle associazioni ambientaliste, che da anni denunciavano l’abbattimento di milioni e milioni di alberi all’anno al solo scopo della produzione di carta igienica, e che poterono rallegrarsi per l’eliminazione di una causa così grave e spesso sottovalutata di disboscamento. I più intransigenti, consci che l’uso del tessuto lavabile aveva aumentato anche quello di detersivi, suggerirono di tornare alle origini e usare le foglie, che sono per natura biodegradabili, ma molti sostennero che, dal punto di vista del marketing, spargere di feci il fogliame non fosse necessariamente il miglior simbolo possibile per la lotta in favore della tutela dell’ambiente.
A questo scenario, naturalmente, dovremmo poi aggiungere tutta quella fetta di popolazione mondiale, con particolare relazione a certe aree dell’Africa e dell’Asia, che la carta igienica non la usava neanche prima, che anzi non aveva nemmeno il water, e che guardò ai nostri patemi con malcelato (ma forse giustificato) divertimento.

Per quanto riguarda il nostro tempo presente, chi da anni utilizza il tessuto non pensa più a quei mesi difficili, e molti fra i più giovani non hanno nemmeno memoria di quel periodo così particolare. Se poi guardiamo al nostro piccolo recinto italico, i punti di PIL guadagnati grazie all’improvvisa e vastissima leadership nel mondo dei bidet dovrebbe farci apprezzare le proverbiali “altre facce della medaglia”, nella consapevolezza che a volte, anche nei periodi più neri, si nascondono inaspettate opportunità.
Questo piccolo excursus, relativo a un problema che oggi non percepiamo più nemmeno come tale, dovrebbe allora farci riflettere sull’ondata di panico che ha letteralmente travolto il nostro paese nelle ultime settimane. Se la storia deve insegnarci qualcosa è che possiamo fare sempre fronte comune alle avversità, e che se i nostri genitori, nonni o trisavoli, hanno già affrontato una situazione difficile, spesso senza nemmeno rendersene conto, allora possiamo farlo anche noi.
No, non dobbiamo avere paura per questa improvvisa incapacità di produrre gli smartphone.
Supereremo anche questa.

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